Avevamo ragione noi. Abbiamo sempre dovuto aggiustare i disastri della destra.
Chi aveva ragione? Si può avere una risposta? Quello fu l’inizio di tutto e fu un delitto, non un errore. E da lì in poi, una fase di decreti inutili, di voti di fiducia, di sordità verso la voce dell’opposizione, di propaganda pura. E tutto questo è stato venduto in nome del rigore e della tenuta dei conti. Ma quale rigore?
Bisogna dare una mano a chi è sul fronte della crisi.
Non ditelo a noi che abbiamo sempre dovuto aggiustare i vostri disastri; e per favore non ammoniteci con la Grecia che è stata portata al disastro da un Governo di centrodestra amico vostro e che oggi deve affidarsi al centrosinistra per risalire la china!
Ma quale rigore? Rigore vuol dire che chi ha di più deve dare di più e che si deve risparmiare sul superfluo per dare una mano a chi è sul fronte della crisi e può tirarci fuori dai guai. Questo è il rigore.
Con il loro cosiddetto rigore hanno aumentato le diseguaglianze, hanno ridotto la fedeltà fiscale, hanno massacrato gli investimenti nel pieno della recessione, sono riusciti nel miracolo di aumentare la spesa corrente nonostante i tagli micidiali alla scuola, all’università, alla cultura, alle politiche sociali della famiglia, agli Enti Locali. Con il loro bel rigore ci troviamo con la crescita più bassa d’Europa e con il debito più alto. E con la propaganda del rigore hanno tolto la voce ai problemi veri. Crisi industriali abbandonate, lavoratori, insegnanti, ricercatori e immigrati che per farsi vedere devono andare sui tetti o sulle isole. Piccole imprese che saltano nel silenzio generale non solo perché non c’è lavoro ma anche perché nessuno paga più, a cominciare dallo Stato. Collette fra le famiglie per far funzionare la scuola dell’obbligo. E i libretti della spesa che dopo quarant’anni ricompaiono nelle botteghe dei nostri paesi. Altro che social card! Libretti della spesa, caro Tremonti, proprio quelli di una volta! E intanto le mafie, che invece hanno i soldi in mano, arraffano a destra e a manca al nord e al sud imprese e patrimoni. Tutti problemi oscurati, zittiti mentre la discussione politica veniva portata sui Lodi Alfano, i legittimi impedimenti, il processo breve. Problemi oscurati, mentre si imbastivano riforme a chiacchiere.
Il federalismo eronde padane perse nel bosco.Dicono Roma ladrona e hanno votato tutte le leggi per i ladroni.
La beffa del federalismo mentre si mettevano in ginocchio i Comuni. Il federalismo, che si sta perdendo nel bosco come le ronde padane, come le invettive a Roma ladrona di chi ha votato tutte le leggi per i quattro ladroni di Roma!
Scuola,università, cultura: non sono riforme, ma tagli. Riforme a chiacchiere, fino a chiamare riforma della scuola, dell’università, della cultura l’unica operazione che si sia vista nel mondo di riduzione dell’offerta formativa, di tagli strutturali all’intero sistema della conoscenza. Operazioni condotte con arroganza incredibile e veri e propri insulti alla verità. Cari Ministri, se i ricercatori si sono messi sui tetti non è perché siamo andati a trovarli noi, è perché ce li avete mandati voi! E a proposito di arroganza, caro Ministro, qui aspettiamo ancora di vedere i suoi voti.
Ecco, care democratiche e cari democratici, questa è la storia di un fallimento e questa è la ragione vera e profonda della crisi che si è aperta nella destra e della sensazione, oramai molto diffusa, che così non si può andare avanti.
Berlusconi si è ribaltato da solo. E adesso bisogna evitare che trascini l’Italianel pozzo.
Siamo arrivati ad una stretta politica. E che cosa fa Berlusconi davanti alla stretta? Fa la vittima. E’ davvero incredibile. Ha avuto tutto in mano, ha fatto tutto quello che voleva. Maggioranza galattica, legge elettorale ad personam, il più grande partito d’Italia inventato sul predellino di una macchina. Ha fatto tutto lui e adesso parla di ribaltone? Lui si è ribaltato, si è ribaltato lui, lasciandoci il problema che adesso non si ribalti anche l’Italia e che la sua crisi e il suo fallimento non trascinino il Paese nel pozzo. Questo è il problema! E questo problema dovremmo risolverlo oggi con una nuova campagna elettorale?
Abbiamo i numeri per giocarcela. Ma è ora di avere senso di responsabilità e di pensare al Paese.Questa legge elettoraleva riformata.
Per sei mesi a discutere ancora, dopo sedici anni, su “Berlusconi sì / Berlusconi no” facendo fare all’Italia un altro giro su una giostra ormai fuori uso? E con una legge elettorale che pretende si governi un paese moderno nominando i parlamentari e prendendosi tutto, Presidenza della Repubblica compresa, con il 34% dei voti, che vinca l’uno o l’altro contro il 65% del Paese? Questo dovremmo fare? Non avremmo certo paura per noi, ce la potremmo giocare; e se capitasse mai sia chiaro che ce la giochiamo e che la vinciamo! Ma sarà pur ora di avere un po’ di senso di responsabilità e di pensare seriamente, veramente al nostro Paese e non alla propria bottega! Siamo davanti ad una emergenza economica e sociale che già c’è e che può essere aggravata da nuove tempeste, che bisogna assolutamente prevenire.
Da sei mesi viviamo nell’instabilità per colpa del governo. La stabilità può venire solo da un governo serio di responsabilità istituzionale, con una una transizione
ordinata, nuove regole elettorali, alcuni interventi essenziali e urgenti in campo economico e sociale.
Non ci si parli di instabilità, per favore! Questa è l’instabilità. Da sei mesi siamo nell’instabilità. Berlusconi è l’instabilità. E chi dovrebbe darcela adesso questa stabilità? Un voto in più comprato in Parlamento? Una bagarre elettorale fatta con la testa all’indietro e con esiti di governabilità assolutamente incerti? No. Oggi davanti all’Europa e alla società italiana la risposta di stabilità può solo venire da un governo serio di responsabilità istituzionale che garantisca una transizione ordinata, nuove regole elettorali, alcuni interventi essenziali e urgenti in campo economico e sociale e porti il Paese ad un confronto elettorale capace finalmente di rivolgersi al futuro perché fuori finalmente dalla situazione bloccata e impotente di questi anni.
Nel caso di apertura di una crisi questa è la proposta che avanzeremo al Capo dello Stato al quale confermiamo qui assoluto rispetto per le Sue prerogative e ammirazione e stima per come le sta esercitando.
Siamo dunque pronti a prenderci oggi le nostre responsabilità, sia nel sostenere il Governo che chiediamo, sia nello svolgere da una posizione più avanzata e con maggior convinzione ancora la nostra battaglia di opposizione.
Non ci arrendiamo al declino dell’Italia.
Ma oggi, care democratiche e cari democratici, siamo soprattutto qui per dire a voce alta quale Italia vogliamo, qual è il nostro sogno e quali gambe vogliamo dargli perché possa davvero camminare. Vogliamo dire da qui che noi abbiamo un progetto di cambiamento. Non ci arrendiamo al declino dell’Italia. Non c’è nessuna ragione per arrendersi. Noi possiamo e dobbiamo avere il nostro posto nel mondo nuovo. Possiamo e dobbiamo preparare giorni migliori per la nuova generazione.
Alla base del nostro progetto vi sono convinzioni profonde, valori che possono diventare fatti veri.
Alla base del nostro progetto ci sono convinzioni profonde, ci sono valori che possono diventare fatti veri e visibili. C’è l’idea che l’unità del Paese possa essere riconquistata e che Nord e Sud possano darsi la mano e fare la strada assieme. C’è l’idea che con più uguaglianza e più solidarietà possiamo avere più crescita e più lavoro.
C’è l’idea che con più conoscenza e con più innovazione possiamo aver e più crescita e più lavoro.
C’è l’idea che con più legalità, più sobrietà, più civismo possiamo avere più crescita e più lavoro.
Il grande sogno europeo deve riprendere il suo cammino.
Ancora una volta e con convinzione immutata noi partiamo dall’Europa. Ci ribelliamo all’idea che l’Italia possa acconciarsi a quest’Europa, che possa essere complice della disarticolazione e dell’indebolimento a cui la stanno portando i Governi europei della destra.
Il grande sogno europeo deve riprendere il suo cammino. L’Italia deve tornare protagonista di questo sogno cominciando concretamente da oggi e cioè da questa grande crisi. No. L’Europa non può ridursi a essere quella che mette la pezza il giorno dopo, non può ridursi ad essere quella che salva solo le banche o qualche Paese che si è indebitato per salvare le banche. No. Questo non basta. Bisogna metter e oggi, nella crisi, i pilastri dell’Europa di domani. Noi diciamo, assieme ai Partiti progressisti europei: il debito pubblico in più che si è prodotto in questi mesi in Europa lo si paghi con una tassa sulle transazioni finanziarie e non ricada invece quel debito, come sta avvenendo, sull’occupazione e sulle politiche sociali.
Quello che ha provocato la finanza lo paghi la finanza e non si scarichi su chi non c’entra nulla, sulle nuove generazioni.
Quello che ha provocato a finanza lo paghi la finanza e non lo si scarichi per anni e anni su chi non c’entra nulla e sulle nuove generazioni. E ancora: l’Europa raccolga risorse con buoni europei per fare investimenti in infrastrutture e innovazione sostenendo la crescita e il lavoro e metta finalmente l’occupazione nei suoi riferimenti e non solo il debito e il deficit. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti: non si può andare avanti avendo una moneta in comune mentre tutte le politiche restano divise. Si rischia davvero il disastro. Basta coi ripiegamenti difensivi e nazionalistici delle destre e dei populismi europei. “Ciascuno per sé” non ci si difende da nulla e non si va da nessuna parte. Vogliamo l’Europa di Jaques Delors, vogliamo l’Europa di Romano Prodi: quella è l’Europa che vogliamo.
Noi vogliamo un risveglio italiano.
In quell’Europa noi vogliamo una riscossa italiana, un risveglio italiano e per averli chiediamo che la testa si alzi finalmente all’altezza dei nostri problemi; sono problemi che oltrepassano Berlusconi, che oltrepassano un Governo e che riguardano il nostro sistema, che è malato nei suoi assetti democratici e malato nella sua incapacità a crescere. Il nostro progetto si misura dunque su due grandi sfide.
Due grandi sfide: una riforma repubblicana e un’alleanza per la crescita e il lavoro.
La prima: una Riforma Repubblicana per rafforzare la Costituzione più bella del mondo modernizzando Istituzioni e regole.
La seconda: Una alleanza per la crescita e il lavoro.
Una riforma delle Istituzioni e delle regole, dunque, che parta da un principio di fondo. Come in tutte le democrazie che funzionano, una persona sola non risolve nulla. Pensare che senza la fatica delle riforme, che senza la fatica della partecipazione si possano risolvere le cose affidandosi a scorciatoie personalistiche è una illusione disastrosa.
Questo drammatico equivoco, nel nostro Paese, è andato oltre Berlusconi e si è diffuso in una mentalità. Quando dico: toccasse mai a me mai metterei il mio nome sul simbolo, intendo dire questo. Che noi non dobbiamo suscitare passione per una persona, ma per la nostra Repubblica. Se vogliamo salvarci dobbiamo riscoprire le radici della Repubblica, e darle modernità e una vitalità nuova.
Riforme dunque. Bisogna semplificare e rendere efficiente il Parlamento e la forma di Governo, ridurre il numero dei Parlamentari, fare una legge elettorale seria, fare un federalismo responsabile e congegnato per unire. Bisogna portare ogni costo della politica alla media europea, cancellare le leggi speciali e della cricca, semplificare le procedure ordinarie, mettere il cacciavite nel funzionamento di ogni settore della pubblica amministrazione a cominciare dalla giustizia per i cittadini e non per quella di uno solo. Definire le incompatibilità e i conflitti di interesse, cancellare e monopoli e posizioni dominanti a cominciare dall’informazione. Bisogna introdurre norme, a cominciare da quelle finanziarie, per snidare le illegalità e le mafie. Bisogna occuparsi dei diritti, dell’articolo 3 della nostra Costituzione, con leggi che sostengano la parità e riconoscano le differenze a cominciare dal ruolo delle donne nei ruoli di direzione, leggi che combattano l’omofobia, che garantiscano la dignità della persona nella malattia, che impediscano che il disordine dell’immigrazione ricada sulla parte più debole della nostra popolazione e che dicano finalmente a un bambino nato qui e figlio di immigrati: tu sei dei nostri, sei un italiano.
Il Paese che vogliamo è un Paese civile, pulito, orgoglioso di essere parte delle grandi democrazie del mondo e di non rispecchiarsi con populismi e dittature.
Questo è il Paese che vogliamo noi. Un Paese civile, pulito, un Paese orgoglioso di essere parte delle grandi democrazie del mondo e di non essere invece allo specchio dei populismi e delle dittature.
Un patto per la rinascita.
Un’alleanza per la crescita e per il lavoro; e cioè un patto fra Istituzioni, lavoro, impresa, soggetti della conoscenza e della sussidiarietà. In quel patto vogliamo ci sia una vera riforma fiscale. Basta con un Paese diventato ormai il paradiso dei condoni, un Paese dove il 10% della popolazione possiede il 50% della ricchezza senza che gli si possa chiedere nulla, un Paese dove l’aliquota più bassa di un operaio, di un pensionato, di un artigiano è più alta di quella della rendita di uno speculatore. Basta. E’ tempo di alleggerire il carico sulla famiglia, sul lavoro e sull’impresa e di accrescerlo sull’evasione fiscale, sulla rendita finanziaria e immobiliare se vogliamo dare un po’ di spinta all’occupazione. In quel patto sociale deve starci un’idea di politica industriale, agricola e dei servizi: un orizzonte che ci chiarisca finalmente dove vogliamo andare, quale posto vogliamo che abbiano le nostre produzioni nel mondo e dove sospingere quindi investimenti pubblici e privati.
Nuovi parametri.
Qualità, tecnologie, ricerca, innalzamento dell’istruzione e della conoscenza, efficienza energetica, frontiera ambientale e dei beni culturali: questi dovrebbero essere i nuovi parametri. E in quel patto ci deve stare una ripresa delle liberalizzazioni. In quel patto ci deve stare una rilettura del nostro welfare a partire dal tema dei servizi e dalla condizione della famiglia piegata dalla caduta dei redditi, dalla non autosufficienza, dalla nuova disoccupazione giovanile e delle donne.
E il tutto secondo un principio che voglio ribadire qui: in quel patto noi vogliamo in economia un mercato più aperto, regolato, concorrenziale e svolto a parità di condizioni e vogliamo che i bisogni essenziali salute, istruzione, sicurezza non siano affidate al mercato.
Infine, ma non per ultimo, in quel patto, deve starci il grande tema del lavoro e delle relazioni sociali. Di fronte alla globalizzazione bisogna dare produttività, flessibilità ed efficienza alle nostre produzioni, ma dare tutto questo a fronte di un quadro di riforme che interessi tutta la società e all’interno di parole d’ordine nuove:
L’unità del mondo del lavoro. L’unità del lavoro per noi è un bene pubblico, è una condizione della crescita.
Regole chiare e nuove di rappresentanza, rappresentatività e partecipazione nel mondo del lavoro.
Più decentramento nei rapporti sociali si, più articolazione si, ma senza buttare a mare totalmente la dimensione nazionale dei contratti perché questo è un Paese già molto diviso e che bisogna tenere assieme.
Nuove norme in materia di lavoro. Per cominciare a parità di costo per l’impresa un’ora di lavoro precario non costi meno di un’ora di lavoro stabile e per chi non è coperto dalla contrattazione ci sia un salario minimo per legge.
Due priorità: le nuove generazioni e il divario nord-sud.
Tutto questo e molto altro ancora vogliamo sia attraversato da due priorità, da due punti di vista prevalenti: quello della nuova generazione e quello del divario fra nord e sud del Paese. Sono questi infatti i due grandi punti di rottura, le grandi questioni nazionali che possono sbarrare la strada alle prospettive del Paese.
Se vogliamo camminare come Paese, non possiamo spezzarci in due, né nelle generazioni, né nei territori.
Su tutto quel che ho detto e su altro ancora stiamo lavorando anche nei dettagli, come si conviene ad un Partito di Governo che non parla mai a vuoto e che sa concretamente che cosa vuol dire quello che dice.
Noi l’Unione non la rifaremo. L’alleanza chevogliamo è con i cittadini.
Care democratiche, cari democratici,
se i problemi sono questi, se la sfida è di questa portata allora c’è una conseguenza politica. Ci siamo impegnati a mobilitare una vasta area democratica e ad avanzare proposte politiche che possano rivolgersi a tutte le forze di opposizione, quelle di centrosinistra e quelle di centro, perché si prendano le loro responsabilità in un patto di governo e di riforme e perché non si sottraggano alla sfida per calcoli parziali o per pregiudizi che potrebbero portarci al risultato di rimanere nella palude di oggi. Un patto di governo e di riforme solido, serio e garantito, perché noi L’Unione non la rifaremo.
Se si parla dell’Italia e del suo futuro, si deve essere disposti a scelte coraggiose. Queste scelte toccano anche a noi al Partito Democratico senza il quale nessun cambiamento è possibile. Per noi questo non è solo un orgoglio: è una responsabilità.
Mentre dico questo, aggiungo anche che la nostra vera alleanza noi vogliamo farla con i cittadini e in particolare con la gente a cui vogliamo bene.
Noi vogliamo bene a quelli che il pane se lo sudano, ma che possono guardarsi tranquillamente allo specchio. Ai lavoratori che perdono o rischiano l’occupazione, alle famiglie inquiete per il futuro dei figli, ai precari, al pensionato che gira tre supermercati per trovare la merce che costa meno, agli insegnanti che non si arrendono, agli imprenditori che non mollano mai, agli operatori della legalità che resistono, agli amministratori perbene che si appassionano alla loro comunità, agli studenti che sanno studiare e che sanno farsi sentire, ai volontari che diffondono gratuità e solidarietà, agli immigrati che lavorano qui tirano la cinghia e mandano un po’ di soldi alla povertà delle loro famiglie. Noi ci rivolgiamo a questi e a tanta altra gente così perché solo a partire da loro e dalla loro condizione potremo fare un Paese migliore per tutti.
Dobbiamo fare in modo che la gente alla quale vogliamo bene voglia bene a noi e ci consideri alla testa di una riscossa che li riguarda.
Ma detto questo sentiamo anche che il nostro compito è fare in modo che la gente a cui vogliamo bene voglia bene a noi e ci veda alla testa di una riscossa che li riguarda. Noi abbiamo tanto da fare ancora per rendere chiaro quello che vogliamo ma soprattutto per migliorare quello che siamo. Un collettivo che deve sapere quel che la gente chiede sopra ogni altra cosa ad una forza politica: sobrietà, onestà, rigore, semplicità, vicinanza ai problemi. Un collettivo che deve esprimere unità, responsabilità, generosità. E affidarsi, come stiamo via via facendo, a quella nuova generazione che prenderà in mano il partito dei riformisti del secolo nuovo.
Voglio rivolgere da qui un saluto particolare ai giovani e ai giovanissimi, e sono tanti, che quest’anno hanno preso responsabilità di direzione nei nostri circoli, nelle nostre federazioni e in tante pubbliche amministrazioni. Grazie del vostro impegno e grazie anche alla nostra organizzazione giovanile, ai giovani democratici.
Vi chiedo di resistere alle difficoltà, di metterci freschezza e coraggio e di avere fiducia nella buona politica. Un saluto particolare voglio rivolgerlo anche a tutti i nostri amministratori, con un abbraccio a quelli tra loro che sono sotto minaccia della criminalità e delle mafie.
Il Partito aiuti i nostri amministratori locali messi su un fronte difficilissimo dalle politiche dissennate del Governo, e i nostri amministratori ricordino che se rimane un solo euro in cassa lo si spende per un servizio ai disabili o per un soccorso alla povertà, perché la crisi può distruggere la solidarietà e senza solidarietà non può esserci comunità.
Vieni via con me.
Care democratiche e cari democratici, amici e compagni,
questa piazza emozionante dice al Paese che siamo forti, che siamo pronti a combattere per le cose in cui crediamo.
Siamo pronti ad affrontare politicamente le scelte immediate, già dalla prossima settimana e siamo pronti a darci il passo per un cammino di cambiamento del Paese. Il cambiamento. E’ questo il messaggio forte che viene oggi da San Giovanni.
Anch’io ho il mio sogno. Il sogno di un Partito, il Partito Democratico, che possa finalmente dire all’Italia, parafrasando una bella canzone e una grande trasmissione televisiva: Vieni via, vieni via di qui, vieni via con me. Vieni via da questi anni, da queste umiliazioni, da questa indignazione, da questa tristezza. C’è del nuovo davanti, c’è un futuro da afferrare assieme, l’Italia e noi.
Pier Luigi Bersani
(dal sito http://beta.partitodemocratico.it)